In una review pubblicata di recente su Gut, Michael Camilleri, ricercatore della Mayo Clinic negli Stati Uniti, ha descritto le componenti della barriera intestinale, i loro cambiamenti in condizioni non infiammatorie di stress, i diversi metodi di misurazione della permeabilità intestinale e l’impatto del trattamento con alimenti o anche nutraceutici.
Una revisione dei dati scientifici pubblicati in merito può facilitare il compito dei clinici nell’individuare nell’uomo la natura di un’alterata funzione della barriera intestinale, nel diagnosticarla e nel trattarla. Queste informazioni forniranno le basi per esaminare patologie non gastrointestinali che possono rappresentare uno stress in grado di danneggiare la barriera intestinale e per individuare possibili trattamenti, inclusi la dieta, integratori e farmaci.
Condizioni come esercizi di resistenza, la somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei, la gravidanza o surfattanti (per esempio gli acidi biliari o additivi alimentari come gli emulsionanti) possono infatti aumentare la permeabilità intestinale. In queste situazioni, alimenti o anche nutraceutici possono ristabilire la permeabilità intestinale e il danno mucosale. Inoltre, sebbene malattie infiammatorie e ulcerose intestinali causino la sindrome da permeabilità intestinale, nessuna di queste patologie può essere curata semplicemente normalizzando la barriera intestinale. Non è stato ancora dimostrato, infatti, che ripristinando la funzione di barriera sia possibile migliorare le manifestazioni cliniche presenti in caso di malattie gastrointestinali o sistemiche.
La barriera intestinale è un’entità dinamica che interagisce e risponde a diversi stimoli, tra cui anche il microbiota intestinale. È costituita da diversi elementi: lo strato mucoso, che previene l’adesione dei batteri, le cellule epiteliali, unite fra di loro da tight junctions, e le cellule dell’immunità innata e acquisita della lamina propria, che secernono immunoglobuline e citochine.
La misurazione della permeabilità intestinale viene eseguita mediante l’utilizzo di molecole che fungono da marcatori: il loro passaggio attraverso la barriera dipende dalla loro dimensione e dal tipo di lesione presente. Difetti nelle tight junctions, per esempio, consentono il passaggio di acqua e ioni, mentre in presenza di ulcere batteri e macromolecole possono raggiungere la mucosa.
Nell’uomo solitamente la permeabilità intestinale viene misurata indirettamente dalla frazione di molecole sonda ingerite e raccolte nelle urine. Quelle più comunemente utilizzate sono i saccaridi (sucrosio, mannitolo e ramnosio). Questo metodo di misurazione ha tuttavia una validità limitata, anche a causa della mancanza di standardizzazione delle procedure.
La permeabilità intestinale può essere misurata anche in vitro, su biopsie prelevate dall’intestino.
Inoltre, per le misurazioni endoscopiche nell’uomo, sono disponibili due tecniche: l’endoscopia confocale e la misurazione endoscopica dell’impedenza della mucosa. Studi che hanno utilizzato queste tecniche hanno fornito alcune evidenze che supportano il concetto di perdita transitoria della permeabilità intestinale.
Un esempio di quale sia il potenziale impatto di un’aumentata permeabilità transcellulare senza apoptosi o ulcerazione intestinale è rappresentato dalla dimostrazione che, in modelli murini di obesità e diabete, l’iperglicemia influenza la permeabilità della barriera intestinale attraverso la riprogrammazione trascrizionale delle cellule epiteliali intestinali e l’alterazione dell’integrità delle tight junctions e delle adherence junctions.
Anche lo strato di muco riveste un ruolo importante nella barriera intestinale. A comprometterne la funzionalità possono però essere surfattanti, come i sali biliari, ed emulsionanti alimentari. I primi influenzano la sua funzione di barriera nei confronti di composti idrofilici e lipofilici; inoltre, è stato ipotizzato che i surfattanti possano causare la riduzione dell’idrofobicità dello strato mucoso, che sembra associata a un aumento della permeabilità intestinale. Gli emulsionanti, invece, possono compromettere la sua capacità di impedire il contatto fra microrganismi e cellule epiteliali intestinali.
Anche patologie infiammatorie o ulcerose causano alterazioni della barriera intestinale, come descritto per condizioni come la sindrome dell’intestino irritabile, le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) o la malattia celiaca.
Sembra infine che numerose malattie non gastrointestinali siano associate a “leaky gut”, come per esempio asma, autismo, malattia di Parkinson, sclerosi multipla, psoriasi, fibromialgia e depressione.
Esistono però teorie sia a favore sia “contro” questa ipotesi.
Alcuni studi, per esempio, suggeriscono l’esistenza di stati di stress nei quali è documentata un’alterata funzione di barriera ed esempi di normalizzazione che supporterebbero il concetto di transitoria permeabilità della barriera intestinale. Sono state raccolte recentemente anche evidenze che cambiamenti nella composizione e nel metabolismo del microbiota intestinale siano associati a un aumento della permeabilità intestinale in giovani adulti sottoposti a un prolungato stress fisiologico, come un’intensa attività fisica.
Rimane però ancora da chiarire la relazione di “causa-effetto” fra fenotipo della malattia, cambiamenti della barriera e modificazioni del microbiota.
Inoltre, alcuni dati suggeriscono l’esistenza di condizioni non patologiche che potrebbero essere associate a un’aumentata permeabilità e ipotizzano che questo fenomeno possa essere risolto con approcci dietetici e non farmacologici, che in futuro potrebbero includere anche prebiotici e probiotici.
Secondo alcuni autori, esistono però anche diversi aspetti da approfondire e precauzioni da prendere prima di attribuire alla permeabilità della barriera una rilevanza biologica o clinica. In primo luogo, l’alterata permeabilità potrebbe essere un epifenomeno: per esempio, qualsiasi processo infiammatorio potrebbe compromettere l’integrità della barriera. In secondo luogo, sebbene allergeni, stress e attività fisica possano alterare la funzionalità della barriera intestinale, non è chiaro come questi possano predisporre a conseguenze cliniche. Inoltre, in modelli animali di malattia, una barriera danneggiata non porta a un fenotipo di malattia. Infine, l’aumento della permeabilità non è sempre da considerarsi deleterio e non esistono chiare evidenze che il ripristino della funzione di barriera nell’uomo possa alterare la storia naturale della malattia. Per esempio, nonostante la terapia con TNF-α riduca l’infiammazione della mucosa e ristabilisca la permeabilità intestinale in pazienti con IBD, e butirrato, zinco e alcuni probiotici siano in grado di migliorare la disfunzione della barriera, non è ancora stato dimostrato se la “manipolazione” della permeabilità possa o meno essere considerata un target terapeutico nelle IBD.
In conclusione, la barriera intestinale riveste un ruolo importante, ma rimangono da chiarire numerosi aspetti in quanto non esistono ancora test clinici validati per la diagnosi. Inoltre, sebbene farmaci, nutrienti, prebiotici e anche estratti vegetali migliorino la funzione di barriera, non sono stati ancora messi a punto trattamenti farmacologici e non è stato ancora dimostrato l’impatto del ripristino della barriera intestinale nel migliorare le manifestazioni cliniche di patologie gastrointestinali o sistemiche. Ciò nonostante, i medici dovrebbero essere consapevoli del possibile ruolo di una disfunzione della barriera nelle malattie gastrointestinali e del suo potenziale come target di future terapie.