La composizione del microbiota intestinale potrebbe essere collegata al rischio di sviluppare sintomi persistenti dopo il periodo di convalescenza da COVID-19. È quella condizione chiamata in gergo comune “Long COVID”, cioè la presenza di almeno un sintomo persistente a distanza di quattro settimane dopo l’eliminazione di SARS-CoV-2 dall’organismo. Lo riporta uno studio cinese pubblicato sulla rivista Gut.
Long COVID
La sindrome post acuta da COVID-19, il cosiddetto “Long COVID”, è relativamente comune: stando agli studi pubblicato finora, circa tre persone su quattro, superata l’infezione da COVID-19, riferiscono di avere almeno un sintomo nei sei mesi successivi. I più frequenti sono: stanchezza, debolezza muscolare e insonnia.
Non ci sono evidenze solide sul perché alcune persone vadano in contro a questa sintomatologia.
Un numero crescente di prove ha fatto ipotizzare che il microbiota intestinale possa svolgere un ruolo importante, anche alla luce del suo coinvolgimento nella modulazione della risposta immunitaria.
I ricercatori hanno quindi voluto indagare se esiste un’associazione tra composizione del microbiota intestinale e Long COVID.
Lo studio
Sono stati monitorati i cambiamenti nel microbiota intestinale di 106 pazienti con vari gradi di gravità del COVID-19, trattati in tre diversi ospedali tra febbraio e agosto 2020, e in un gruppo di confronto di 68 persone che non avevano avuto infezioni da SARS-CoV-2 nello stesso modo periodo.
I campioni fecali sono stati raccolti al momento del ricovero (68), e di nuovo dopo 1 mese (64) e dopo 6 mesi (68). In 11 pazienti sono stati raccolti anche 9 mesi dopo.
I ricercatori hanno verificato la presenza dei 30 sintomi Long COVID più comunemente riportati 3 e 6 mesi dopo l’infezione iniziale da COVID-19.
L’età media dei pazienti con infezione da COVID-19 era di 48 anni; poco più della metà erano donne. La maggior parte (81%) aveva avuto un’infezione da lieve a moderatamente grave; 25 sono stati trattati con antibiotici.
Il Long COVID è stato riportato in 86 pazienti (81%) a 3 mesi e in 81 (76,5%) a 6 mesi. I sintomi più comuni a 6 mesi erano affaticamento (31%), problemi di memoria (28%), caduta dei capelli (22%), ansia (21%) e disturbi del sonno (21%).
Tra i pazienti con e senza sequele post infettive non sono state osservate differenze significative in termini di età, sesso, presenza di condizioni sottostanti, uso di antibiotici o farmaci antivirali, gravità del COVID-19.
Tra i 68 pazienti con COVID-19 i cui campioni di feci sono stati analizzati a 6 mesi, 50 avevano una forma di Long COVID. E sebbene la carica virale iniziale non fosse associata, il loro microbiota intestinale differiva da quello dei pazienti senza Long COVID e da quelli che non avevano avuto l’infezione da COVID-19.
Microbiota: ecco le differenze
In che misura era diverso? Questi pazienti avevano un microbiota intestinale meno vario e abbondante; mentre quello dei pazienti che non hanno sviluppato Long COVID era simile a quello di coloro che non avevano avuto COVID-19.
Tra le specie batteriche riscontrate nei pazienti con Long COVID, 28 si sono ridotte e 14 si sono arricchite sia al ricovero sia a 3 e 6 mesi dalla dimissione dall’ospedale.
A sei mesi, i pazienti con Long COVID mostravano un numero significativamente inferiore di F. prausnitzii e Blautia obeum, ma una maggiore abbondanza di Ruminococcus gnavus e Bacteroides vulgatus rispetto alle persone che non avevano avuto COVID-19.
I ricercatori hanno quindi esaminato la composizione del microbiota intestinale per vedere se fosse associato a diverse categorie di sintomi tipici del Long COVID: respiratori; neuropsichiatrici (mal di testa, vertigini, perdita del gusto e dell’olfatto, ansia, scarsa concentrazione, sonno disturbato, umore basso, scarsa memoria, visione offuscata); gastrointestinali; dermatologici (caduta dei capelli); muscoloscheletrici.
Ottantuno specie batteriche sono risultate associate a diverse categorie di Long COVID e molte di queste erano associate a più di due categorie di sintomi persistenti.
Per esempio, a sei mesi i sintomi respiratori persistenti erano fortemente associati a diversi microbi opportunisti “ostili”, tra cui Streptococcus anginosus, Streptococcus vestibularis, Streptococcus gordonii e Clostridium disporicum.
Diverse specie note per aumentare l’immunità, tra cui Bifidobacterium pseudocatenulatum, F. prausnitzii, R. inulinivorans e Roseburia hominis, erano ridotte nei pazienti con Long COVID a sei mesi dall’infezione.
Conclusioni
Si tratta di uno studio osservazionale e come tale non può stabilire un nesso causale tra due fenomeni. Anche se il numero di pazienti inclusi è piccolo, i risultati confermano quelli di altre ricerche, che vedono nel microbioma intestinale un fattore di rischio per questa problematica.
Così commentano gli autori: «La composizione alterata del microbiota intestinale è fortemente associata a sintomi persistenti nei pazienti con COVID-19 fino a sei mesi dopo l’eliminazione del virus SARS-CoV-2. Considerando i milioni di persone infettate durante la pandemia in corso, i nostri risultati danno un forte impulso alla possibilità di modulare il microbiota per facilitare il recupero tempestivo e ridurre il carico della sindrome post-acuta COVID-19».